In uno dei miei ultimi voli
Lisbona-Roma mi sono ritrovato accerchiato da una comitiva di pellegrini, per
lo più signore di una certa età capitanate da un prete, che erano stati a Fátima
e dintorni. Ho quindi innalzato la mia barriera protettiva invisibile, più
spessa di quella che allestisco di solito, per evitare qualunque interconnessione
con le due signore del gruppo che avevo oltre i miei gomiti. Però la barriera è
crollata quando, mangiando i tocchetti di mela del cestino dello spuntino
gentilmente offerto dalla TAP, la signora alla mia sinistra ha chiesto con tono
contrariato a quella alla mia destra: “Ma che razza di mele sono queste?”. Non
ho potuto fare a meno di intromettermi.
Che poi, a onor del vero, le signore erano anche simpatiche perché poi mi ci sono messo a chiacchierare amabilmente. Comunque la mia risposta è stata: “Sono mele di Alcobaça, località portoghese famosa per il suo monastero, che avrete sicuramente visitato, la ginjinha, che avrete sicuramente bevuto, e le mele, che state mangiando adesso”. In effetti le mele di Alcobaça, che la compagnia aerea portoghese distribuisce a tocchetti in confezioni sottovuoto, sono un po’ dure e asprigne –cosa di cui si lamentava la signora-, ma una volta che ci fai la bocca, come ho fatto io, ti piacciono pure.
Un po’ come le pere rocha (intanto la mia lezione continuava, con le signore rapite ad ascoltarmi), tipiche del Portogallo e parimenti offerte, talvolta, sui voli TAP. In realtà il mio rapporto con le pere rocha è sempre stato un po’ controverso. Il nome (pere roccia) esprime appieno la caratteristica principale di questo frutto: sono dure come pietre e quando le mangi ti s’incastrano nell’esofago dandoti la sensazione di soffocare. Il trucco è: mangiarle qualche settimana dopo l’acquisto, quando sono quasi marce. Solo allora diventano buone, dolci e abbastanza morbide da essere addentate senza la possibilità che ti estirpino gli incisivi.
Poi le signore dissero: qui abbiamo mangiato anche la pera cotta. “Certo”, ho detto io, ed è partita la spiega relativa. Quella che avete mangiato è la pêra bêbada, cioè ubriaca. Una ricetta semplice, sana ma tanto buona. Si mette la pera sbucciata a bollire per qualche minuto in vino e acqua zuccherati e aromatizzati con cannella e anice, e já está (è pronta). Poi – ho continuato – qui si cucinano anche le mele. La maçã assada (mela arrosto), che io adoro, è una specialità che si prepara semplicemente mettendo in forno per un quarto d’ora una mela, preferibilmente ma non necessariamente renetta, senza torsolo, con zucchero e uno stecco di cannella. È una sobremesa (dessert) tra le più popolari, forse anche perché appaga senza sensi di colpa.
Quindi mi sono dilungato su altri aspetti di cultura e gastronomia lusitana, ma alla fine l’aereo è atterrato. C’era da aspettarselo.
Che poi, a onor del vero, le signore erano anche simpatiche perché poi mi ci sono messo a chiacchierare amabilmente. Comunque la mia risposta è stata: “Sono mele di Alcobaça, località portoghese famosa per il suo monastero, che avrete sicuramente visitato, la ginjinha, che avrete sicuramente bevuto, e le mele, che state mangiando adesso”. In effetti le mele di Alcobaça, che la compagnia aerea portoghese distribuisce a tocchetti in confezioni sottovuoto, sono un po’ dure e asprigne –cosa di cui si lamentava la signora-, ma una volta che ci fai la bocca, come ho fatto io, ti piacciono pure.
Un po’ come le pere rocha (intanto la mia lezione continuava, con le signore rapite ad ascoltarmi), tipiche del Portogallo e parimenti offerte, talvolta, sui voli TAP. In realtà il mio rapporto con le pere rocha è sempre stato un po’ controverso. Il nome (pere roccia) esprime appieno la caratteristica principale di questo frutto: sono dure come pietre e quando le mangi ti s’incastrano nell’esofago dandoti la sensazione di soffocare. Il trucco è: mangiarle qualche settimana dopo l’acquisto, quando sono quasi marce. Solo allora diventano buone, dolci e abbastanza morbide da essere addentate senza la possibilità che ti estirpino gli incisivi.
Poi le signore dissero: qui abbiamo mangiato anche la pera cotta. “Certo”, ho detto io, ed è partita la spiega relativa. Quella che avete mangiato è la pêra bêbada, cioè ubriaca. Una ricetta semplice, sana ma tanto buona. Si mette la pera sbucciata a bollire per qualche minuto in vino e acqua zuccherati e aromatizzati con cannella e anice, e já está (è pronta). Poi – ho continuato – qui si cucinano anche le mele. La maçã assada (mela arrosto), che io adoro, è una specialità che si prepara semplicemente mettendo in forno per un quarto d’ora una mela, preferibilmente ma non necessariamente renetta, senza torsolo, con zucchero e uno stecco di cannella. È una sobremesa (dessert) tra le più popolari, forse anche perché appaga senza sensi di colpa.
Quindi mi sono dilungato su altri aspetti di cultura e gastronomia lusitana, ma alla fine l’aereo è atterrato. C’era da aspettarselo.
Fantastico!
RispondiEliminaGrazie mille, troppo gentile :-)
EliminaAh, ah, in effetti ho avuto lo stesso pensiero delle due signore, la prima volta che mi hanno portato quelle durissime mele. A dire la verità non le ho apprezzate molto. Non so adesso, ma tempo fa servivano le confezioni tipo hotel, di burro.....olandese !! Quello sì, mi dava fastidio ! Grazie per le informazioni, proverò a cucinare la pera ubriaca alla prima occasione.
RispondiEliminaBurro olandese su aereo portoghese? Disdicevole, in effetti :-/
EliminaLa pera ubriaca va provata appena possibile!