Dimentica la regina
d’Inghilterra, il casato di Windsor, la lingua inglese, la sterlina in tutte le
sue declinazioni e tutto il corredo di britannicume che imperversa nelle ex
colonie di sua maestà. Dimenticalo, ma prima dammi il permesso di ricordartelo:
il Commonwhealth. Sai cos’è, vero? È quell’organismo internazionale che racchiude
l’Inghilterra e (quasi) tutte le sue ex colonie, con un intento di cooperazione
economica e democratica (diritti umani e quelle robe lì). Che c’entra con
Lisbona? Mo te lo dico.
Non c’entra niente, of course. Ma
mi serviva come strapuntino per lanciare il nostro discorso d’oggi. Come tra i
paesi anglofoni c’è quest’organizzazione, tra i paesi lusofoni c’è quest’altra:
il CPLP. Che non è, come potresti supporre, un’onomatopea (figura retorica, se
hai studiato alle professionali) che designa il colpo apoplettico, ma l’acronimo di
Comunidade dos Países de Língua Portuguesa. E siamo arrivati al dunque.
Si tratta di un’associazione
fondata relativamente di recente, nel 1996, con sede a Lisbona, e ha l’obiettivo
di "approfondire la mutua amicizia e la cooperazione tra i suoi membri" - come recita lo statuto -
naturalmente tutti di lingua portoghese. Così, oltre agli ovvi Portogallo e
Brasile, compaiono gli stati africani, e cioè Angola, Mozambico, Capo Verde,
Guinea Bissau e São Tomé e Príncipe, a cui nel 2002 si aggiunse il neo stato
indipendente Timor Est, quello delle rivoluzioni del 1999, perso oltre le
foreste del Borneo e gli arcipelaghi del sud est asiatico. Paesi più o meno con
le pezze al culo, mi verrebbe da aggiungere, e infatti tranne il gigante
sudamericano e la madrepatria europea, viaggiamo fra nazioni che nell’Indice di Sviluppo Umano hanno punteggi simili alle minime di Reykjavík.
Però ci sono
altre insospettabili nazioni, nonché regioni, che premono per entrare nel club,
per affinità storica, culturale e linguistica e per vicinanza geografica. La Galizia,
per esempio, che condivide le origini della propria lingua col portoghese,
oppure Andorra, o un sorprendente Lussemburgo (ma non più tanto sorprendente se
si scopre che una bella fetta della sua popolazione è di origine portoghese). O
ancora le scontate Macao, Malacca, Goa e Guinea Equatoriale, antiche colonie
dell’impero, ma anche un inusitato Uruguay. Ce ne sono pure altre che hanno
richiesto (e ottenuto) lo status di osservatori. Alcuni nomi? Filippine,
Marocco, Indonesia, Venezuela e, udite udite, Australia, Romania, Croazia e
Ucraina, che stanno al mondo lusofono come io sto a Gengis Khan.
In realtà questa
associazione avrebbe tutte le carte in regola per diventare un protagonista nella
scena mondiale: un club con enormi potenzialità legate alla lingua, che è la sesta
più parlata nel mondo, alla geopolitica, visto che è presente in tutti i
continenti, all’economia, dal momento che unisce paesi avanzati a paesi in via
di sviluppo. L’unico neo, forse, è che al di fuori dei paesi diretti
interessati, nel mondo non se ne sappia granché. Peccato, perché potrebbe
essere un’occasione di riscatto per il Portogallo e riportarlo a un ruolo di
primo piano come cinquecento anni fa, sfruttando la sua posizione privilegiata
tra Europa, Africa e Americhe. Sarà che il futuro di Lisbona, anziché nel
nostro continente che la sta bistrattando, è là dov’è stato il suo passato, e
cioè nel mondo intero?
Per come la penso io è là, nel mondo che hai citato. E', per l'Europa, troppo periferico, distante. L'Uruguay e il Paraguay non sono poi così inusitati. E' vero che son di lingua ufficiale spagnola, ma oltre a confinare direttamente con il gigante lusofono, hanno delle minoranze di quella lingua. L'organizzazione che citi dovrebbe però essere non solo linguistica o culturale, ma anche economica e di libero scambio, proprio come il Commonwealth britannico. Dove, tra cittadini dei suddetti Paesi, ci siano facilitazioni per l'ottenimento di residenza, cittadinanza, poche pratiche burocratiche per l'apertura di imprese, ecc. ecc. Ma essendo il Portogallo ancorato (indissolubilmente ??) all'Euro e alle regole della retrostante Europa ( a differenza dei British, dei quali possiamo dire tutto il male del mondo, ma non sono scemi...), ho l'impressione che se ne farà poco. I paesi che c'entrano come cavoli a merenda forse intendono partecipare proprio per le enormi potenzialità di quei luoghi (petrolio, minerali, ecc. ecc.)
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